BENEFICI PREVIDENZIALI DELLE VITTIME DEL TERRORISMO

Sono vittime del terrorismo coloro che sono deceduti o abbiano subito una invalidità permanente per effetto di ferite o lesioni causate da atti terroristici o di tale matrice verificatisi nel territorio nazionale o extranazionale, nonché i loro familiari superstiti.
La legge prevede per le vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice riconosce una serie di benefici economici, tra cui molti di natura previdenziale.
I benefici previdenziali possono essere riconosciuti anche ai soggetti già pensionati, e sono i
seguenti:
1) Incremento della retribuzione pensionabile
Coloro che subiscono un’invalidità permanente di qualsiasi grado, il coniuge superstite e gli orfani della vittima deceduta al momento dell’evento, beneficiano dell’incremento sulle pensioni dirette previsto dalla legge 29 novembre 2007, n. 222. La retribuzione pensionabile, calcolata secondo le regole generali, va rideterminata incrementando la medesima di una quota del 7,5%.
2) Aumento figurativo di 10 anni dell’anzianità contributiva
Coloro che hanno subito una riduzione permanente della capacità lavorativa di qualunque entità e grado, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice, beneficia di un aumento figurativo di 10 anni di anzianità contributiva utile ai fini del diritto e della misura della pensione.
L’aumento figurativo di 10 anni deve essere riconosciuto al coniuge, ai figli, e in mancanza ai
genitori, indipendentemente dallo svolgimento di attività lavorativa al momento dell’evento
terroristico.
Il beneficio spetta al coniuge e ai figli dell’invalido anche se il matrimonio è stato contratto o i figli sono nati successivamente all’evento terroristico, fatto salvo il caso in cui il beneficio sia stato riconosciuto, precedentemente al matrimonio o alla nascita dei figli, ai genitori della vittima.L’attribuzione della maggiorazione compete tanto ai figli esistenti al momento dell’evento terroristico, quanto ai figli nati successivamente al verificarsi dell’evento.
Per quanto riguarda il coniuge, la maggiorazione può essere riconosciuta ai soggetti con i quali vi era un rapporto di connubio al momento dell’evento, ovvero al coniuge divorziato se il divorzio è avvenuto dopo l’evento terroristico. In caso di assenza di un coniuge o di figli al momento dell’evento terroristico, la maggiorazione può essere riconosciuta a favore dei genitori della vittima.
La maggiorazione deve essere riconosciuta entro l’anzianità contributiva massima valutabile nel fondo nel quale è liquidata la prestazione e che, per le pensioni calcolate in forma retributiva o mista, l’aumento figurativo incrementa l’anzianità contributiva relativa alla quota di pensione con la retribuzione pensionabile più elevata.
3) Diritto alla pensione diretta per i soggetti con invalidità permanente pari o superiori
all’80%

A coloro che hanno riportato un’invalidità pari o superiore all’80% viene riconosciuto il diritto
immediato a una pensione diretta che viene erogata dopo la presentazione della domanda da
parte dell’interessato.
La pensione è pari all’ultima retribuzione integralmente percepita, incrementata del 7,5%, dal
lavoratore al momento dell’evento terroristico.
Nella retribuzione integralmente percepita rientrano tutti gli emolumenti corrisposti dal datore di lavoro e connessi alla causa tipica del contratto di lavoro anche se non assoggettati a
contribuzione previdenziale, sono, però, escluse le somme corrisposte alla cessazione del
rapporto di lavoro a titolo di trattamento di fine rapporto, nonché i trattamenti corrisposti al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori.

4) Trattamento pensionistico per i soggetti con invalidità permanente non inferiori al 25%.
Chi ha riportato un’invalidità pari o superiore al 25% della propria capacità lavorativa ed ha
proseguito l’attività lavorativa fino al raggiungimento dell’anzianità contributiva massima
pensionabile, potrà beneficiare di un trattamento pensionistico annuo pari esattamente all’ultima retribuzione pensionabile annua percepita. A tali soggetti si applica la disciplina generale in materia di accesso alle prestazioni pensionistiche prevista per la generalità dei lavoratori. Inoltre, tale importo di pensione beneficia dell’incremento dei dieci anni di contribuzione figurativa di cui sopra.
5) Clausola d’oro
L’art. 7, l. 206/2004 prevede l’adeguamento costante della misura delle pensioni corrisposte alle
vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice al trattamento retributivo corrisposto ai lavoratori in attività, che si trovino in posizioni economiche corrispondenti e con pari anzianità.
La “clausola d’oro” deve essere applicata sui trattamenti pensionistici erogati alla vittima
dell’evento terroristico e, al suo decesso, sui trattamenti ai superstiti derivanti.
Dal 1° gennaio 2018, in applicazione di quanto previsto dall’art. 3, comma 4 quater, d.l. 50/2017,
convertito con modificazioni dalla legge 96/2017, “in luogo di quanto previsto dall’articolo 7,
comma 1, primo periodo, della legge 3 agosto 2004, n. 206, è assicurata, ogni anno, la
rivalutazione automatica in misura pari alla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati”.
6) Esenzione Irpef
L’articolo 3, comma 2 della legge 206/2004 stabilisce l’esenzione totale dall’IRPEF per i trattamenti pensionistici erogati alle vittime degli atti terroristici e ai loro superstiti. Questo beneficio si applica sia alle vittime sia ai familiari superstiti, offrendo una significativa agevolazione fiscale.
7) Trattamento di Fine Rapporto maggiorato
il trattamento di fine rapporto (TFR) o equipollente se lavoratori dipendenti iscritti presso
l’assicurazione generale obbligatoria, delle forme sostitutive ed esclusive gestite dall’INPS, ovvero è corrisposta un’indennità a titolo di trattamento equipollente al trattamento di fine rapporto a favore dei lavoratori autonomi iscritti presso le gestioni speciali per gli artigiani, i commercianti e i coltivatori diretti, degli iscritti alla Gestione Separata e per i liberi professionisti. La predetta indennità è determinata ed erogata in unica soluzione nell’anno di decorrenza della pensione ed è esente dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).

Il nostro studio ha un’ esperienza pluriennale nella trattazione di questioni in tema di Vittime del terrorismo.

VIA LIBERA PER IL RICALCOLO DELLE PENSIONI PER POLIZIA DI STATO E PENITENZIARIA: LA LEGGE N. 234/2021 RICONOSCE L’APPLICAZIONE DELL’ART. 54 D.P.R. N. 1091/1973 A TUTTE LE FORZE DI POLIZIA RIENTRANTI NEL COMPARTO SICUREZZA.

Il nostro studio è sempre stato contrario alla impostazione fornita dalla giurisprudenza maggioritaria che riteneva non applicabile l’aliquota più favorevole ex art. 54 D.P.R. N. 1091/1973 per il personale delle forze di Polizia ad ordinamento civile, ritenendo fermamente che il personale ad ordinamento civile dovesse essere destinatario del medesimo trattamento previdenziale previsto per il personale ad ordinamento militare, in quanto anche per i trattamenti di quiescenza deve valere il principio della equità di trattamento a parità di funzioni.

La legge di bilancio n. 234/2021 ha sancito il suddetto principio, per cui tutte le forze di Polizia rientranti nel cd. comparto sicurezza devono essere destinatarie della medesima disciplina pensionistica.

Conseguentemente, dovrà essere rideterminata ex art. 54 DPR. 1091/1973  secondo l’aliquota del 2,44% la quota retributiva del trattamento pensionistico di tipo  misto del personale delle forze di Polizia e del Corpo dei Vigili del Fuoco, che hanno maturato al 31.12.1995 meno di 18 anni di contributi, oltre al pagamento degli arretrati sui ratei pensionistici degli ultimi cinque anni.

I ritardi dell’Inps non sono in alcun modo tollerabili, in quanto l’istituto con molteplici circolari ha manifestato l’intenzione di adeguarsi a tale normativa (e prima ancora all’orientamento fatto proprio dalla storica sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti Centrale di Appello del 04.01.2021 n. 1), ma ciononostante moltissime pensioni non sono state ancora ricalcolate, mettendo così a rischio di prescrizione i ratei oltre i cinque anni.

Il nostro studio offre assistenza per tutti i soggetti interessati per procedere all’interruzione della prescrizione avviando il procedimento di ricalcolo della pensione, ed in caso di inerzia da parte dell’Inps, per adire la Corte dei Conti e far valere il proprio diritto riconosciuto dalla legge.

EQUIPARATO A VITTIMA DEL DOVERE IL MILITARE COLPITO DA MALATTIA PROFESSIONALE

Negli ultimi anni sono state attive in Italia alcune commissioni parlamentari d’inchiesta con l’obiettivo di approfondire il tema della pericolosità dell’esposizione dei nostri militari delle Forze Armate all’uranio impoverito, asbesto e ad altre sostane nocive colpevoli dell’insorgere di tumori.

Le più alte cariche del Ministero della Difesa erano a conoscenza dei rischi per la salute dei militari coinvolti in azioni di pace in territorio straniero. Vi sono inoltre state gravi omissioni nella tutela della salute dei lavoratori e nella bonifica dei luoghi contaminati da sostanze cancerogene.

É quanto emerge dalla relazione finale della “Commissione parlamentare d’inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all’esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni”, presentata negli Atti Parlamentari della XVII Legislatura (7 febbraio 2018).

Le evidenze dell’indagine condotta e i numerosi esperti ascoltati in merito hanno inoltre confermato la correlazione fra esposizione a tali fattori chimici, tossici e radiologici ed i numerosi casi di patologie neoplastiche fra i militari.

L’art. 1 comma 564 della legge n. 266/2005 prevede i soggetti  cd. equiparate alle vittime del dovere.

La previsione normativa in questione delinea una fattispecie aperta a presidio di tutela contro la morte ed i fatti lesivi che attingono il personale militare in occasione di missioni di qualunque natura, purché realizzate in condizioni ambientali od operative “particolari”, per tali dovendosi intendere quelle che abbiano comportato l’esposizione a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto (Cass. n. 24592/18).

La Cassazione, con una recente pronuncia, nel 2019 ha ulteriormente specificato che rientrano nel concetto di “particolari condizioni ambientali” anche  quelle situazioni in cui, pur trattandosi di modalità comuni a tutti o molti lavoratori della medesima categoria, ritenute ordinarie con giudizio e valutazione riferita a conoscenze diverse ed inferiori rispetto alle attuali, venga accertata una valenza di rischio per la salute in siffatte condizioni, chiarendo che nella tutela assicurata ai soggetti equiparati alle vittime del dovere dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 564, sono compresi anche i lavoratori affetti da malattie professionali.

Il concetto di “missione di qualunque natura” di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 364, va riguardato in relazione allo svolgimento dei compiti istituzionali, mentre quello di “particolari condizioni ambientali od operative” va riscontrato, in primo luogo, alla luce del rispetto di tutte le regole dettate dall’ordinamento in relazione alla tutela della salute dei lavoratori.

Ne consegue, che nella prospettiva assistenziale solidaristica che viene in rilievo, ai fini del giudizio sull’ordinarietà o meno del rischio corso dai soggetti considerati nello svolgimento delle loro attività istituzionali, ed in specifico in relazione all’esposizione all’azione di sostanze nocive come le fibre di amianto, la valutazione giudiziale dovrà essere formulata anche ora per allora, con riferimento cioè alle maggiori conoscenze oggi disponibili ed ai più elevati standard protettivi oggi assicurati agli appartenenti alla stessa categoria di lavoratori.

Lo ratio è quella di evitare il paradosso per cui ai lavoratori che si sono ammalati per aver operato in condizioni di maggior rischio non venga corrisposta alcuna concreta provvidenza quando, per ipotesi, il modello di svolgimento dell’attività lavorativa allora praticato, pur in sé lecito ma assai pericoloso, non fosse tale da scongiurare il rischio di insorgenza di una determinata malattia professionale (come ad es. il mesotelioma).

IL TEMPO E’ GALANTUOMO PER I SERVITORI DELLO STATO

La Corte di Cassazione Sezione Lavoro conferma l’imprescrittibilità del nuovo Status di Vittima del dovere.

Con la storica sentenza n. 17440 del 30.05.2022 la Corte Suprema di Cassazione – Sez. Lavoro – risolvendo una vivace disputa giurisprudenziale, afferma che la categoria di vittima del dovere ed equiparati ex art. 1 commi 563 e 564 della legge n. 266/2005 costituisce uno status giuridico in senso tecnico e come tale non sia soggetto a termine di prescrizione.

La Suprema Corte con la presente sentenza ha fatto propria l’interpretazione giuridica da sempre sostenuta dal nostro studio sul tema, affermando i seguenti principi di diritto:

“ogni qualvolta il legislatore individua una particolare categoria di soggetti come destinataria di prestazioni pubbliche con finalità di protezione e perequazione sociale costituzionalmente garantite, la situazione giuridica dei beneficiari può e deve essere ricostruita in termini di status”.

“la disciplina delle provvidenze dettate per le vittime del dovere rientra nell’art. 38 della Costituzione e può legittimamente considerarsi come una delle possibili ‘figure speciali di sicurezza sociale, la cui ratio va individuata nell’apprestare peculiari ed ulteriori forme di assistenza per coloro che siano rimasti vittima dell’adempimento di un dovere svolto nell’interesse della collettività, che li abbia esposti ad uno speciale pericolo e all’assunzione di rischi qualificati”.

“Non si possono non ravvisare nella situazione giuridica istituita dal legislatore tutti i presupposti dello status, valendo la categoria di ‘vittima del dovere’ a differenziare una particolare categoria di soggetti al fine di apprestare loro un insieme di benefici previsti dalla legge e riepilogati dall’art. 4, d.P.r. n. 243/2006”.

“la domanda dell’interessato deve considerarsi pur sempre condicio sine qua non per il riconoscimento della condizione di ‘vittima del dovere’, non potendo attribuirsi alla disposizione regolamentare di cui all’art. 3, d.P.r. n. 243/2006 (che statuisce che ‘in mancanza di domanda si può procedere d’ufficio’) alcuna valenza derogatoria ad un principio che, per gli status activae processualis, ha valenza di diritto di libertà costituzionalmente garantito”.

Ne consegue che tutti colore che ritengono di possedere i requisiti stabiliti dall’art. 1, commi 563 e 564 della legge n. 266/2005 di vittima del dovere e/o equiparato possono presentare  apposita istanza all’Amministrazione per vedersi riconosciuto il nuovo status, anche se sono trascorsi oltre dieci anni dall’entrata in vigore della Legge n. 266/2005,  in quanto i limiti prescrizionali incidono esclusivamente sui singoli ratei delle connesse prestazioni assistenziali previste ex lege.

L’ART. 54 DEL TU. 1092/1973 ALLA LUCE DELLA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DEI CONTI N. 1 DEL 2021.

Con la Sentenza n. 1/2021/QM/PRES-SEZ della Corte dei Conti – Sezioni Riunite in sede Giurisdizionale, è stata chiarita una volta per tutte l’interpretazione corretta da dare all’applicazione dell’art. 54 del D.P.R. n. 1092/1973, per i militari e posizioni equiparate con meno di 18 anni di contribuzione al 31.12.1995.

Tutte le questioni giuridiche relative alla corretta applicazione dell’art. 54 del T.U. 1092/1973 sono state risolte, in via nomofilattica, dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte dei Conti del 04.01.2021, con l’emanazione del principio di diritto secondo cui “la quota retributiva della pensione da liquidarsi con il sistema misto, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava una anzianità ricompresa tra i 15 anni e i 18 anni, va calcolato tenendo conto dell’effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile determinato nel 2,44%” e che, pertanto “l’aliquota del 44% non è applicabile per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni”.

In sintesi, il principio di diritto conferma l’indirizzo secondo cui il tenore letterale della disposizione dell’art. 54, comma 1, determina un beneficio oggettivo sul calcolo della pensione del militare che cessa dalla propria attività avendo compiuto anche un solo giorno in più di servizio oltre al quindicesimo anno di servizio utile alla data del 31 dicembre 1995.

In definitiva il criterio individuato dalla Corte dei Conti, pur restando più favorevole rispetto all’INPS, sgonfia la tesi sino ad oggi maggioritaria delle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti che premiava coloro in possesso di un’anzianità tra 15 e 18 anni (ovvero, di 18 anni meno un giorno) al 31.12.1995 con l’aliquota tonda del 44% (2,93%).

A sorpresa, invece, avvantaggia i soggetti con anzianità inferiori a 15 anni al 31.12.1995 ai quali si riconosce un coefficiente di crescita del 2,44% in luogo dell’originario 2,33%.

La sentenza, tuttavia, per quanto abbia cercato di riallineare i rendimenti delle anzianità maturate, trattasi di una pronuncia tesa a trovare un punto di compromesso, che purtroppo aggiunge ulteriore confusione nel panorama previdenziale della categoria rendendo, sempre più necessario  un intervento legislativo sul punto.

Purtroppo, nonostante la suddetta pronuncia, tutt’oggi l’Inps fa fatica ad allinearsi, tant’è che spesso nessun riscontro viene dato alle diffide avanzate dai pensionati militari per l’ottenimento della corretta riliquidazione del trattamento pensionistico secondo l’art. 54, non lasciando loro altra via che adire la competente autorità giudiziaria.

Avv. Francesca Anedda Avv. Isabella Martini