RICORSI PREVIDENZA COMPLEMENTARE DEL COMPARTO DIFESA E SICUREZZA

Con la legge Dini  n. 335 del 1995 il legislatore introduce l’istituto della previdenza complementare anche per il personale militare, ma ad oggi a distanza ormai di 25 anni dalla sua entrata in vigore, tale istituto non trova ancora applicazione.

La  legge Dini di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare sanciva il graduale passaggio dal sistema pensionistico retributivo al sistema contributivo, seguita nel corso del tempo da diverse norme di carattere tecnico e specifico volte a dare attuazione alle novità normative dettate dalla riforma.

Tra queste  si rammenta la legge n. 448/1998 che prevedeva l’istituzione di forme pensionistiche integrative per il personale appartenente alle Forze Armate e alle Forze di Polizia.

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LEGITTIMO PER FORZE ARMATE E FORZE DI POLIZIA IL RICALCOLO DEL TFS PER L’INCLUSIONE DEI SEI SCATTI STIPENDIALI

Un altro danno da parte dell’INPS lo stiamo riscontrando nella liquidazione del TFS del personale della Polizia di Stato, della Polizia Penitenziaria, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e delle FF.AA, in quanto l’Istituto non include i sei scatti stipendiali previsti dalla normativa di settore.

In base all’attuale sistema normativo i sei scatti stipendiali devono essere inclusi nella determinazione del TFS quando la cessazione dal servizio sia avvenuta per le seguenti ragioni: per raggiungimento del limite di età; per permanente inabilità al servizio; per decesso; a domanda qualora al momento della stessa sussista il requisito anagrafico di 55 anni di età ed il requisito contributivo di 35 anni di servizio utile.

Quanto sopra è disciplinato dall’art. 38 del D.P.R. n. 1032 del 1973, e dall’art. 6 bis del D.lg. n. 387/1987 (riferito alla Polizia di Stato e agli altri Corpi di Polizia), convertito nella legge n. 472 del 1987 e successivamente modificato dall’art. 21 della legge n. 231/1990.

Tale normativa si applica anche per il personale militare, in quanto l’art. 1863 del C.O.M. (D.lgs. n. 66/2010), rubricato “aumenti periodici di stipendio ai fini pensionistici” rinvia all’art. 4 del D.lgs. n. 165/1997, che a sua volta richiama l’art. 21 della legge n. 231/1990, mentre al comma 3 dell’art. 1911 C.O.M., rubricato “Attribuzione dei sei aumenti periodici di stipendio ai fini del trattamento di fine servizio” è richiamato espressamente l’art. 6 bis del D.lg. n. 387/1987.

Sebbene la normativa in questione sia chiara, pur se complessa, molti sono gli errori commessi dall’Inps nella determinazione del TFS per il personale militare e di Polizia, in particolare l’errore più ricorrente riguarda la mancata inclusione dei sei scatti per il personale cessato dal servizio a domanda con 55 anni di età e 35 anni di servizio utile.

Proprio, in merito a quest’ultimo caso si è espresso recentemente il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza n. 1231 del 21 febbraio 2019 ribadendo che anche al personale che cessa dal servizio per anzianità con un’età di 55 anni e 35 di servizio effettivo, spettano i 6 scatti sul TFS, in quanto tali requisiti coincidono esattamente con la fattispecie contemplata dal comma secondo dell’art. 6 bis del D.l. n. 387 del 1987, che prevede espressamente che “ le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile”.

Inoltre, il Consiglio di Stato ha specificato nella suddetta sentenza che il mancato rispetto del termine di presentazione della domanda indicato di collocamento in quiescenza indicato all’art. 6 bis, comma 2, secondo periodo del D.l. n. 387/1987 non ha alcuna conseguenza decadenziale.

In caso di mancata inclusione dei sei scatti stipendiali nel calcolo della buonuscita, è stato determinato un danno economico in media di circa 10.000 euro lordi, comunque da quantificare in base alla posizione personale di ciascun soggetto.

Nel caso in cui ad uno dei soggetti legittimati non siano stati calcolati i sei scatti sul TFS l’unica strada è quella in prima battuta di presentare istanza di riesame diretta all’INPS competente.

Laddove l’INPS nel termine di 120 giorni non risponda o rigetti esplicitamente l’istanza, è possibile ricorrere entro 60 giorni con ricorso dinanzi al Tribunale territorialmente competente.

Si rammenta che dal momento del calcolo del trattamento di fine servizio decorre un termine di prescrizione di 5 anni per far valere le proprie ragioni.

Per ricevere ulteriori informazioni contatta il nostro studio, inviando una mail all’indirizzo info@studiolegalemilitare.it

L’ART. 54 D.P.R. n. 1092/1973 SI APPLICA IN FAVORE DI TUTTI I MILITARI IN PENSIONE CON IL C.D. “SISTEMA MISTO”, ANCHE PER COLORO CHE AL 31.12.1995 NON HANNO RAGGIUNTO I QUINDICI ANNI DI SERVIZIO UTILE.

La giustizia della Corte dei Conti a colpi di sentenza è riuscita a piegare l’INPS all’applicazione dell’art. 54 del D.P.R. n. 1092/1973 non solo per i militari in pensione che si sono arruolati negli anni 1981-1982-1983, ma per tutti i militari in pensione con il c.d. “sistema misto”.

Nonostante il consolidato orientamento giurisprudenziale favorevole ai ricorrenti, l’INPS continua a rigettare le domande avanzate per l’ottenimento del ricalcolo delle pensioni secondo l’aliquota prevista dall’art. 54 del DPR sopra cit., continuando a ritenere erroneamente che per i militari in pensione con il “sistema misto” – ovvero tutti gli arruolati in qualsiasi corpo militare che alla data del 31.12.1995 abbiano maturato meno di 18 anni di servizio utile, e che per tale ragione non rientrano nel cd. sistema retributivo – debba applicarsi l’aliquota contributiva prevista per il personale civile dall’art. 44 del DPR della misura del 35%, anziché quella corretta del 44% prevista per il personale militare dall’art. 54 del DPR.

Molteplici sono le pronunce sia delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti territoriali, sia delle Sezioni Centrali di Appello, che hanno riconosciuto il diritto del militare, che maturi il diritto a pensione al quindicesimo anno di servizio, alla applicazione della aliquota del 44% della base pensionabile ai sensi dell’art. 54 del D.P.R. 1092/1973, in quanto la disposizione in oggetto non ha carattere speciale, e di conseguenza trova applicazione per tutto il personale militare che abbia cessato dal servizio con trattamento pensionistico c.d. misto.

Tra le tante sentenze si segnala una delle ultime: la sentenza n. 73/2020 della I Sez. centrale giurisdizionale di Appello della Corte dei Conti, che si è pronunciata confermando la sentenza di primo grado, favorevole nel riconoscere l’applicabilità dell’art. 54 del DPR 1092/1973 ad un militare in pensione con il sistema misto, che al 31.12.1995 aveva maturato un’anzianità pari a sei anni e due mesi.

Al momento attuale, purtroppo, l’INPS continua a respingere le domande di ricalcolo e riliquidazione della pensione, conformemente all’art. 54 del DPR 1092/1973, con la conseguenza che per ottenere il suddetto beneficio l’unica strada è presentare ricorso giurisdizionale dinanzi alla competente Corte dei Conti.

 

Avv. Isabella Martini                              Avv. Francesca Anedda

IL DECRETO LEGGE N. 18/2020 (CURA ITALIA) E LE NOVITA’ SUI PERMESSI LEGGE 104/1992 PER IL PERSONALE MILITARE

Il presente articolo è frutto del lavoro dell’Avv. Francesca Anedda, da due anni proficua collaboratrice dello studio legale.

Con il presente articolo l’intento è quello di fare chiarezza circa la modalità di applicazione dell’istituto dei permessi ex legge 104/1992 alla luce delle novità introdotte dal Decreto Cura Italia per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID-19, avente lo scopo di contemperare le prioritarie esigenze della salute pubblica con lo svolgimento dei compiti istituzionali.
Premesso che ai sensi dell’art. 87 del DL 18/2020 fino al 31.07.2020, data di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019 – salvo data antecedente stabilita con DPCM su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione – il lavoro agile costituisce la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni, anche il Ministero della Difesa ha emanato una circolare “Sull’applicazione al personale militare delle misure straordinarie in materia di lavoro agile, di assenza e di esenzione dal servizio” M_DGMIL REG 2020 0123560 20-03-2020.
La suddetta circolare specifica che il Comandante/Responsabile del Reparto/Ente debba assicurare la fruizione degli istituti propri dell’ordinamento militare, ivi compresi quelli introdotti dal Decreto n. 18/2020.
Delle novità sono state, appunto, introdotte dall’art. 24 del DL 18/2020 che ha previsto un incremento del numero dei giorni di permesso mensile retribuito (coperto da contribuzione figurativa) ex art. 33, comma 3 della legge 104/1992.
Il numero di giorni di permesso mensile retribuito per i militari che assistono un familiare disabile grave, previsti dalla legge 104, sale di ulteriori 12 giorni, da usare tra marzo e il 30 aprile 2020.
Questo periodo si aggiunge ai 3 giorni di permesso mensile già previsti, che possono essere utilizzati a marzo e ad aprile di quest’anno (per un totale di 18 giorni: 3 ordinari a marzo, 3 ordinari ad aprile e 12 in più tra marzo e aprile).
L’utilizzo dei permessi segue le modalità standard della legge 104, pertanto chi assiste due familiari disabili gravi ha diritto al raddoppio dei permessi, incluso quello ampliato per far fronte alle esigenze dettate dall’emergenza sanitaria. A titolo di esempio, se si assistono 2 familiari disabili i giorni di permesso utilizzabili salgono a 36 (18 giorni per ciascun disabile).
Hanno diritto agli ulteriori giorni di permesso i militari che sono:
– genitori di figli disabili gravi non ricoverati a tempo pieno;
– coniugi, conviventi, parenti e affini entro il 2° grado di persone disabili gravi non ricoverati a tempo pieno (o parenti e affini entro il 3° grado in particolari situazioni);
La domanda per ottenere gli incrementi di permessi ex 104 deve essere fatta al proprio Reparto/Ente di appartenenza.
Una ulteriore novità da sapere è che l’art. 39 del DL 18/2020 stabilisce al comma 1 che anche il personale militare nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3 (situazioni riconosciute di particolare gravità) della L. 104/1992, beneficiante per sé e/o per soggetto appartenente al proprio nucleo familiare, ha diritto a svolgere il servizio in modalità agile, allorquando sia consentito dalla tipologia di prestazione lavorativa.
Si ricorda che la circolare specifica, inoltre, che qualora non sia possibile ricorrere alle forme di lavoro agile, al fine di limitare le presenze in servizio sul luogo di lavoro, il Comandante può dispensare temporaneamente dalla presenza in servizio il personale militare, anche ai soli fini precauzionali in relazione all’esposizione a rischio, con provvedimento adottato secondo specifiche disposizioni impartite dalle rispettive Amministrazioni/Forze Amate/Arma dei Carabinieri, ovvero consentire l’utilizzo degli istituti propri dell’ordinamento militare (licenze, benefici, ecc.), ivi compresi quelli ulteriormente introdotti dal DL 18/2020.
Tra le misure precauzionali previste dal Decreto Cura Italia vi è quella della “temporanea dispensa dal servizio” ex art. 87, comma 6 del militare fino alla data di cessazione dello stato di emergenza (31 luglio 2020), fuori dai casi di assenza a causa di malattia, quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva (di cui all’art. 19, comma 1 del DL 9/2020), in considerazione del livello di esposizione al rischio di contagio da COVID-19 connesso allo svolgimento dei compiti istituzionali e nel rispetto delle preminenti esigenze di funzionalità dell’amministrazione.
In tali casi, il Comandante di Corpo, secondo le norme in materia di prevenzione e protezione, può collocare l’interessato in licenza straordinaria non computabile nel limite massimo previsto. Tale periodo è equiparato, agli effetti economici e previdenziali, al servizio prestato, con esclusione della corresponsione dell’indennità sostitutiva di mensa, ove prevista.
A parere della scrivente il militare che si trovi ad assistere un familiare nelle condizioni di cui all’art 3, comma 3 legge 104/1992 (particolare condizione di gravità) se appartiene ad un reparto, ove per le attività ivi da svolgere non si possa ricorrere al lavoro agile, avendone quest’ultimo diritto ai sensi dell’art. 39 del D.L 18/2020, dovrà di conseguenza essere dispensato temporaneamente dal servizio fino alla fine dell’emergenza in considerazione del livello di esposizione al rischio a tutela della persona disabile assistita.

Avv. Francesca Anedda

PENSIONI MILITARI. LA MANCATA APPLICAZIONE DELL’ART. 54 DEL TU 1092/1973 AL COMPARTO DIFESA E SICUREZZA. EVOLUZIONE POSITIVA DELLA GIURIPRUDENZA.

Una questione attuale, nell’ambito della previdenza militare, riguarda l’ambito di applicabilità, e le conseguenti modalità, dell’art. 54 del TU 1092/1973.

Infatti, l’Inps, nonostante la giurisprudenza favorevole ai ricorrenti, continua a non applicare ai militari che ne avrebbero diritto (tutti coloro che al 31.12.1995 avevano maturato almeno 15 anni di servizio e non più di 20 – a grandi linee, tutti quelli arruolati tra il 1981 ed il 1983) l’aliquota più favorevole del 44% al posto di quella del 35% prevista per i civili.

Anzitutto, l’applicazione dell’art. 54, in luogo dell’art. 44 del TU n. 1092/1973, è un problema che non tange i militari che, avendo raggiunto i 18 anni di servizio utile al 31 dicembre 1995, beneficiano del sistema retributivo e godono del trattamento di quiescenza più favorevole, ma riguarda tutti coloro che alla data del 31 dicembre 1995 avevano maturato “almeno 15 anni” ma meno di 18 anni di servizio utile (cfr. Corte dei Conti Abruzzo sent. n. 75 del 2012).

Difatti nei confronti di quest’ultimi dipendenti appartenenti all’Ordinamento militare trova applicazione il c.d. Sistema di calcolo Misto, e l’applicazione dell’art 54, il quale incide sul calcolo della Quota Retributiva-QUOTA A della relativa pensione, consentendo l’applicazione dell’aliquota al 44%, anziché al 35% come attualmente erroneamente applicata sulla falsariga del personale civile.

L’art. 54 sopra menzionato, ai commi n. 1 e n. 2, stabilisce per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello stabilito per il personale civile disciplinato all’art. 44 del medesimo testo unico, prevedendo che “1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile. 2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento di ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

Nonostante tale previsione normativa, l’Inps continua a negare l’applicazione dell’art. 54, sostenendo che tale diposizione troverebbe applicazione solo per il personale militare che all’atto della cessazione dal servizio non avesse ancora superato il ventesimo anno di servizio utile, mentre per coloro che lo avessero superato nessuna differenziazione sussisterebbe con il restante personale dello Stato.

Siffatta interpretazione risulta palesemente errata, in quanto andrebbe a svuotare totalmente di significato il secondo comma dell’art. 54 che si ripropone di seguito “2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento di ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”: dunque, è la stessa normativa a prevedere che il coefficiente del 44% si applichi anche ai militari che abbiano un’anzianità di servizio utile oltre i venti anni, prevedendo per tale periodo in più un aumento della percentuale del 44% di 1,80% per ogni anno oltre il ventesimo.

Tale soluzione trova conferma anche nel fatto che l’art.1, comma 12, della legge 31.12.1995, n.335 (c.d. Legge “Dini”) stabilisce espressamente che la “quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 (va) calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data” e la disciplina anteriormente vigente per il personale militare era ed è, appunto, quella di cui agli artt.52-63 del D.P.R. n.1092/1973 e non quella di cui agli artt.42-51 dello stesso Testo Unico, relativa al personale civile, non applicabile, allora come ora, al personale militare, essendo questo destinatario di specifica normativa.

Di fatto, l’INPS, nel negare l’applicazione del sistema di calcolo previsto dall’art. 54 a tutti gli interessasti, compie una erronea commistione tra ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale affatto omologabili tra loro.

L’art. 54 detta, infatti, come lo stesso INPS peraltro riconosce, una disciplina di favore nei confronti del personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato, disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di servizio.

Preme, a tal proposito, evidenziare le differenze tra la modalità di calcolo prevista per il personale civile e per il personale militare: difatti rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni in conformità all’art. 44, comma 1, per il personale militare, invece, detta aliquota è del 2,93% (44% : 15 ), giacché diversamente opinando non avrebbe avuto ragione d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio, che come già osservato, non è contemplato dall’art. 44, comma 1.

Inoltre, è da intendersi che superata la soglia del 44%, è sì vero che la percentuale spettante è pari all’1.80 per cento per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere dall’interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è da calcolarsi in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta come dice il comma 2 “aumentata”, di tal che, ad esempio, un dipendente militare cessato con una anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto ad una pensione pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per 1 anno), fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all’80 per cento della base pensionabile previsto anche per il personale militare di cui al comma 7 dell’art. 54 citato analogamente a quello stabilito dall’art. 44, comma 1, per il personale civile.

A tal proposito, si veda la sentenza n. 2 del gennaio 2018 della Corte dei Conti della Sardegna, che, melius re perpensa, recepisce in maniera totale l’impostazione sopra proposta.

Quest’ultima chiarisce che “la disposizione di cui al comma 1 non può intendersi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio (come opinato dall’Inps), atteso che esso prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1,80% per ogni anno oltre il ventesimo. […] la disposizione non avrebbe senso qualora si accedesse alla tesi dell’Amministrazione”.

Anche la Corte dei Conti della Toscana, così come in molte altre Regioni, con la sentenza 188/2019 ha aderito a tale impostazione, riconoscendo il diritto del ricorrente al ricalcolo della pensione.

Lo stesso INPDAP, nella circolare n. 22/2009 aveva del resto chiarito che le norme andavano applicate nel senso ora detto.

Atteso quanto sopra, l’art. 54 deve trovare applicazione per la parte della pensione spettante al militare in quota A, ovverosia per la parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che, qualora già liquidata, deve essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista dalla norma sopracitata.

Infine, si aggiunge anche il fatto che l’applicazione dell’art. 54 è stato fatto salvo anche dalla disciplina di riforma del sistema pensionistico, dal momento che il calcolo della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento dell’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995.

Dunque, tutti gli appartenenti al comparto Difesa e Sicurezza che alla data del 31.12.1995 avevano un’anzianità di servizio utile di almeno quindici anni e non più di venti, hanno diritto all’applicazione dell’art. 54 del TU 1092/1973, con un conteggio/riconteggio della base pensionabile con l’aliquota del 44%, oltre ad un ulteriore 1,80% per ogni anno oltre il ventesimo.